Un fiocco rosa o azzurro può tingersi di nero? 

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 La forma di assistenza post-parto “Rooming- in” si o no? L’esperienza più bella che, spesso, si trasforma in tragedia. 

Quando nasce un bambino, nasce anche una mamma. Questo è ciò che accade nell’esperienza più bella, unica, difficile e completamente “al buio” nella vita di una donna. La grande gioia dell’evento è spesso, infatti, accompagnata dal dolore, dalla stanchezza e dalle difficoltà fisiche e psicologiche del post parto. In questo momento così delicato, dopo nove mesi di attesa, non c’è nulla di più bello, per una mamma, del poter stringere tra le braccia il proprio bambino. Una morsa di vita, affetto, calore…che purtroppo, a volte e per cause infauste, si trasforma in una culla di morte. È ciò che è accaduto lo scorso 7 gennaio, presso l’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove un neonato di tre giorni è deceduto tra le braccia della madre: questa, sfinita dopo 17 ore di travaglio, si è addormentata durante l’allattamento schiacciando, secondo quanto emerge dalle notizie diffuse, il figlio con il proprio corpo e provocandone così la morte per soffocamento. 

Attualmente, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio colposo, indagando sugli operatori sanitari in servizio quei tre giorni, accusati di aver abbandonato la donna, in un momento così delicato. 

Il tragico evento ha riacceso i fari sul cosiddetto “rooming-in” (adottato dalla sfortunata neomamma), ovvero la pratica che permette alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante 

l’intera permanenza in ospedale. Proprio questo contatto continuo, purtoppo, può essere fonte di grande stress per la madre, specie se appena uscita da un parto estenuante e se non sostenuta continuamente dal personale sanitario, che si ritrova a gestire con grande difficoltà innumerevoli casi ogni giorno e senza il prezioso affiancamento da parte del partner e dai familiari, i quali svolgono una funzione fondamentale dal punto di vista del sostegno psicologico e che non sono più presenti come poteva accadere in passato, a causa delle restrizioni conseguenti alla pandemia. 

Il rooming-in, tuttavia, è una pratica post-partum tra le più antiche e naturali e attualmente, conta numerosi benefici scientificamente studiati e dimostrati: favorisce la conoscenza e il contatto 

reciproco; riduce il pianto e ha un effetto calmante sul neonato; concorre allo sviluppo del corretto attaccamento al seno e all’ avvio all’allattamento migliore, dal momento che esso può 

avvenire quando lo desidera il bambino (e non negli orari prestabiliti come in altri casi); stabilizza il metabolismo, la temperatura corporea e regola la respirazione e il battito 

cardiaco del neonato; la vicinanza nelle ore notturne facilita la fisiologica secrezione ormonale, aiutando la montata lattea; sembra possa portare ad un minore rischio di infezioni 

neonatali (possibilità che diventa maggiore se il bambino viene spostato subito al nido); rafforza le abilità nel prestare le prime cure al bambino (suzione, allattamento, cambio 

pannolino); aiuta a far rispettare i ritmi sonno-veglia del neonato, che non dovrà adattarsi alle esigenze dell’ospedale ma potrà poppare e dormire secondo i propri bisogni. 

Al momento, il rooming-in non è obbligatorio in Italia e le sue modalità di attuazione dipendono dalla clinica o dalla struttura ospedaliera. Nel caso in cui una madre scelga 

questo tipo di pratica, il regolamento prevede che debba comunque sempre esserci un accompagnatore, altrimenti il neonato viene portato al nido. 

 In generale, il rooming-in facilita senza dubbio l’adattamento del neonato alla nuova dimensione extra-uterina, completamente diversa da quella dell’interno del corpo materno a 

cui è abituato, ma allo stesso tempo può stressare sia fisicamente sia psicologicamente la madre, se questa non è nelle condizioni di occuparsi come dovrebbe (e vorrebbe) di suo 

figlio. In questa fase, molte testimonianze di neo mamme, hanno riportato esperienze di grande difficoltà, sottolineando proprio il fatto che, spesso, stremate, si sono addormentate con il bambino tra le braccia e che la loro, è stata solo fortuna. Cosa potremmo fare perché le cose avvengano in modo diverso? Quali le soluzioni e le strategie da adottare, perché non si verifichino più questi fatti di grande dolore? Riccardo D’Avanzo, Presidente della Commissione Allattamento e Banche del Latte Umano Donato della Società Italiana di Neonatologia (SIN), afferma che, prima di tutto, bisognerebbe «avere delle aspettative corrette su cos’è il rooming in, come gestirlo, come viverlo; e dunque informare le donne in maniera appropriata, non terrorizzarle: poi sta a loro decidere, ma con la consapevolezza dei rischi». 

Quando nasce un bambino, nasce anche una mamma: possa essere , questa, la fase di conoscenza più bella per tutte le donne e non più il luogo del loro dolore. 

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