
Agosto 2025 segnerà l’80º anniversario dei bombardamenti atomici sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Con il tempo che passa e le tensioni geopolitiche che aumentano, riesaminare tutte le prospettive di queste tragedie, da quelle etiche a quelle storiche, risulta oggi più urgente che mai.
Alle 8:15 del mattino del 6 agosto 1945, un bombardiere B-29 americano, l’Enola Gay, sganciò la prima bomba atomica della storia, chiamata “Little Boy”, su Hiroshima. Tre giorni dopo, il 9 agosto, un’altra bomba, “Fat Man”, fu sganciata su Nagasaki. In pochi secondi, decine di migliaia di persone furono vaporizzate. Alla fine del 1945, oltre 200.000 civili erano morti: molti per ustioni, malattie da radiazioni o ferite.
Sebbene la narrazione ufficiale abbia a lungo sostenuto che le bombe abbiano messo fine rapidamente alla guerra, salvando così numerose vite, gli eventi sono diventati nel tempo oggetto di dibattiti intensi su moralità, strategia e memoria e sul potenziale distruttivo della tecnologia nucleare.
La giustificazione militare del lancio
Il governo statunitense giustificò sin da subito l’uso delle bombe come un modo per costringere il Giappone alla resa incondizionata ed evitare un’ulteriore invasione del proprio territorio, che sarebbe costata centinaia di migliaia di vite americane.
Tuttavia, già nel 1946, la United States Strategic Bombing Survey concluse che “il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe atomiche non fossero state usate.” Storici come Gar Alperovitz e Tsuyoshi Hasegawa hanno sostenuto che le bombe avevano anche lo scopo implicito di inviare un messaggio all’Unione Sovietica; si temeva infatti un’eventuale spartizione del Giappone con l’URSS a conclusione della guerra.
Ciò è considerabile una delle premesse della Guerra Fredda.
Le implicazioni etiche continuano a essere dibattute al giorno d’oggi, ma quello di cui si certi è che il conflitto non giustifichi in nessun modo l’annientamento di intere comunità civili.
Le voci degli hibakusha: i testimoni diretti della tragedia
Negli ultimi decenni, le testimonianze dei sopravvissuti, che furono inizialmente marginalizzate nelle storie ufficiali occidentali, sono emerse come delle potenti contro-narrazioni. I cosiddetti hibakusha (dal giapponese 被爆者, letteralmente: “persone colpite dalla bomba”) parlano sia della profonda sofferenza fisica, sia dell’insormontabile trauma psicologico e dell’emarginazione sociale che hanno subito, nascosti dalle narrative alleate.
“La pelle delle mani di mia madre le cadeva come guanti. Gli occhi delle persone penzolavano dalle orbite” ricorda Setsuko Thurlow, sopravvissuta di Hiroshima e attivista contro le armi nucleari.
Ma ci sono altre testimonianze ignorate, quelle dei lavoratori coreani forzati, che costituivano una parte significativa delle vittime, soprattutto a Hiroshima. Questa omissione riflette il vuoto più ampio nella interpretazione attuale degli esiti del conflitto.

A differenza delle armi convenzionali, le bombe atomiche lasciarono un’eredità drammatica tra radiazioni, tumori e malformazioni congenite che si estesero per decenni tra la popolazione. Studi condotti dalla Radiation Effects Research Foundation (RERF), una collaborazione scientifica tra Stati Uniti e Giappone, hanno documentato alti tassi di tumori come la leucemia, i tumori alla tiroide e microcefalia tra le popolazioni esposte alle radiazioni.
E il trauma non è solo fisico. Furono svolte delle ricerche che dimostrarono che lo stress post-traumatico, il “senso di colpa del sopravvissuto” e l’ansia generazionale, soprattutto tra i figli degli hibakusha, rappresentano tutt’ora una sfida importante per la salute mentale, per di più in un paese che già presenta un alto tasso di suicidi all’anno.
La “Legge di Antigone” vale solo per i vinti?
La fine del conflitto e i successivi maxi processi come Norimberga e, nello specifico, Tokyo, portarono a numerosi problemi giuridici. Nel condannare le barbarie commesse dal nazismo ci si appellò alla cosiddetta “Legge di Antigone”: esistono delle leggi non scritte che vanno rispettate a prescindere se siano citate o meno in un codice giuridico.
Eppure non vennero considerati i numerosi crimini di guerra compiuti dagli alleati, a testimonianza del fatto che non può esistere una visione unica degli eventi, ma che si devono necessariamente esaminare tutti i fatti. Come sappiamo, però, la storia è sempre scritta dai vincitori, perciò tragedie come quelle dei bombardamenti atomici vengono spesso volutamente dimenticate, quando dovrebbero invece essere condannate tutte le barbarie della guerra.

I bombardamenti stabilirono un precedente spaventoso e, nonostante l’orrore, le armi nucleari sono diventate parte integrante della dottrina di sicurezza globale. Grazie ad iniziative come il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), però, sostenute da hibakusha come Thurlow, si sta cercando di vietarne completamente l’uso.
Eppure le principali potenze nucleari, tra cui Stati Uniti, Russia e Cina, non hanno firmato il trattato; di conseguenza, nel 2025 gli arsenali nucleari rimangono vasti e la retorica sul loro possibile utilizzo è in aumento.
Ricordare Hiroshima e Nagasaki non significa solo piangere morti, rappresenta anche un avvertimento. In un clima preoccupante, fin troppo simile a quello precedente al primo conflitto mondiale intriso di nazionalismi emergenti e corsa agli armamenti, resta ancora la domanda: la memoria basterà veramente ad impedire che la storia si ripeta?
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