MARTIRE PER LA LIBERTÀ

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Quest’anno ricorrono i 100 anni dall’omicidio di Giacomo Matteotti, deputato socialista, politico e giornalista italiano assassinato dal regime.

Era il pomeriggio del 10 giugno 1924, quando Matteotti uscendo a piedi dalla propria abitazione per dirigersi verso Montecitorio fu aggredito e poi assassinato da una squadra della Ceka, la polizia segreta fascista. Secondo testimonianze c’era un’auto ferma ad attenderlo, con a bordo alcuni individui, poi in seguito identificati come i membri della polizia politica. Dopo il suo rapimento, ci fu una violenta rissa all’interno dell’automobile, che si concluse con la morte del parlamentare, dovuta a diverse ferite da arma da taglio, che gli provocarono un’agonia lunga e dolorosa. Il suo corpo fu poi lasciato a la Macchia della Quartarella, un bosco a 25 km da Roma, dove fu seppellito. Fu poi ritrovato il 16 agosto del 1924, dopo diversi giorni di ricerca, dal brigadiere dei Carabinieri, Ovidio Caratelli; solo il 18 del mese si procedette all’identificazione del corpo da parte dei cognati e di alcuni deputati. Tuttavia il cadavere era ormai in avanzato stato di decomposizione, quindi fu necessario l’intervento del dentista di Matteotti, che lo riconobbe grazie agli interventi apportati sulla sua dentatura. 

Tutto ciò è solo la cronaca di come fu assassinato e ritrovato Giacomo Matteotti, ma la domanda fondamentale da porsi è: perché fu assassinato? E quali furono le conseguenze della sua morte?

Il suo assassinio fu motivato dalla lucidità politica, intellettuale e morale, con la quale si oppose al fascismo, poiché fu Mussolini stesso che il 3 gennaio del 1925,  si assunse la piena “responsabilità morale e politica” dell’omicidio, con un discorso pronunciato alla Camera.

 Matteotti sin dal 1919 si dedicò alla politica, all’inizio in ambito locale, poi come parlamentare, fu uno tra i primi a intuire il pericolo che si celava dietro lo squadrismo che si stava diffondendo. Nel 1922  aderì all’ala riformista nata da una scissione del Partito socialista italiano da cui era stato espulso, ma fu grazie alla netta opposizione al fascismo che divenne un leader politico a livello nazionale. Era temuto dai suoi “nemici”, per il carattere di indagatore attento, documentato, studioso maniacale, era famoso per spulciare i bilanci, infatti passava molto del suo tempo nella Biblioteca della Camera; proprio per questo aveva già subito diverse aggressioni, firmando poi la sua condanna a morte il 30 maggio del 1924, quando all’apertura della Camera, denunciò le violenze con cui le elezioni, dello stesso anno, si erano svolte, chiedendo di invalidarle. Effettivamente raccolse prove su una serie di violenze, accadute prima e durante le elezioni, nei luoghi dove esse si svolsero, testimoniate anche dalla presenza di squadracce in azione; in questo modo entrò ancora di più nel mirino del regime, esponendosi molto e denunciando a voce alta, ancora una volta, ciò che il fascismo rappresentava. Infatti, il parlamentare, era conscio di essere uscito allo scoperto talmente tanto che, dopo aver contestato pubblicamente la validità del voto, disse ai colleghi in maniera profetica: “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me“.

Difatti l’assenza di Matteotti in Parlamento fu notata già dal giorno dopo, 11 giugno 1924, dato che la notizia della sua scomparsa era già sui giornali. Sin da subito si individuò in Dumini la mano dell’assassino, e in poco tempo i suoi complici furono identificati. A partire dal 27 giugno del ‘24, con la riunione dei parlamentari dell’opposizione, e la decisione comune di abbandonare i lavori alla Camera, finché i responsabili del rapimento Matteotti non fossero stati processati, si mise in pratica la Secessione dell’Aventino, richiamando l’antica secessio plebis romana, tuttavia la protesta non ebbe successo e, dopo due anni circa, la Camera dei Deputati proclamò la caduta dei 123 deputati, che avevano aderito ad essa.

Si può affermare che il delitto fece talmente tanto scalpore che suscitò una profonda emozione in tutto il paese, segnando la svolta verso la dittatura, compiuta poi con le leggi fascistissime del ‘25/’26, sigillando così la pietra tombale della democrazia.

Insomma, Giacomo Matteotti fu un grande politico e oppositore del regime fascista, in nome della libertà non ebbe paura di denunciare le ingiustizie e il suo dissenso nei confronti del partito; superare il tracciato del rispetto delle regole diventa per lui un’occasione per denunciare a voce alta ciò che il fascismo rappresentava. Credeva nella democrazia, che invece il regime negava, sotto mentite spoglie, e avrebbe negato, diventando poi una dittatura a tutti gli effetti, si batté fino all’ultimo respiro, finché non divenne anche lui un martire della libertà.

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