L’incontro nel supercarcere di Capanne tra gli studenti e i detenuti
DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI

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TODI – Lunedì 15 gennaio le classi quinte del liceo “Jacopone da Todi” si sono recate in visita al carcere di Capanne, accompagnate dalla professoressa Silvia Massetti. Tutto è nato da una richiesta da parte degli studenti di conoscere la realtà del carcere, unita all’intento della docente di far riflettere su tale esperienza. 

È importante che i giovani siano sensibilizzati alla legalità in modo da essere sempre più consapevoli e responsabili delle proprie azioni. Educare un giovane ad essere conforme alla legge deve essere una priorità delle Istituzioni, della famiglia e della scuola.

Il “semplice” ingresso in carcere, segnato dalla porta carraia, ha delineato in maniera netta il senso di vita, di libertà, di suoni con il silenzio tombale e l’aria ovattata del luogo. Dai racconti dei detenuti emerge che, nascendo in certe realtà, il destino è quasi segnato: cadere in errore. «In una classe di dieci alunni, ad oggi nove sono ergastolani» afferma un detenuto. Gli incontri con i carcerati e le loro testimonianze hanno favorito una maggiore consapevolezza, facendoci comprendere appieno il valore della legalità, della libertà e del rispetto della vita umana.
Le nuove generazioni devono essere pronte a recepire questo messaggio. Un ragazzo deve comprendere fin da piccolo che ad ogni violazione c’è una conseguenza ed è importante che sappiano distinguere autonomamente cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. La detenzione per alcuni individui, al giorno d’oggi, non è un deterrente, non è nemmeno riabilitativa ma solo punitiva.

Gli studenti durante questa visita hanno avuto la singolare opportunità di scambiare delle parole con 10 dei 300 detenuti ospitati all’interno di Capanne, di cui il 70% stranieri. Ognuno di loro è stato disposto a parlare di come era finito lì e non sono mancati segni inequivocabili di rancore e di emozione nei loro occhi. Guardandoli attentamente, si poteva intuire che l’incontro, inatteso, con la libertà di noi giovani spensierati gli ha fatto ricordare ciò che hanno perso, per esempio non aver potuto provare cosa significa essere genitori fuori dalle sbarre. Le testimonianze hanno rilevato in maniera lampante che le persone propense a delinquere non hanno avuto una solida e serena famiglia alle spalle. E quasi tutti i detenuti hanno colpevolizzato la società dei loro reati, affermando di non essersi sentiti sostenuti e coadiuvati da essa.  

Parlando con i detenuti, essi hanno affermato che «il problema più grande è la famiglia», che il sacrificio più grande che devono sopportare e tollerare è quello di non poter abbracciare quando vogliono i propri cari e rimpiangono la rottura forzata dei legami affettivi.

Nonostante le grandi difficoltà che devono affrontare stando dietro le sbarre, isolati dal mondo esterno, i reclusi hanno affermato che il carcere nel quale si trovano è accogliente e che i rapporti con le guardie sono buoni rispetto ad  altre carceri frequentati precedentemente. All’interno dell’edificio ci sono diverse attività culturali svolte dai detenuti; corso di cucina, teatro, musica, uncinetto e pittura. Tutte aiutano i detenuti a essere creativi, sviluppando diverse abilità, e a non pensare a ciò che stanno vivendo. «Per noi un giorno è come un anno», affermano i carcerati.

L’esperienza di un siffatto ambiente, le diverse storie dei detenuti hanno avuto un grande effetto su ognuno di noi, lasciandoci perplessi e ancor più curiosi. Un incontro dal quale si evince quanto la detenzione sia difficile da vivere per un essere umano.

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