Luciano Priori Friggi tra i protagonisti a Todi del movimento
PROCESSO AL SESSANTOTTO

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Luciano Priori Friggi

TODI – Il Sessantotto rivive nelle parole di Luciano Priori Friggi. Autore di diversi libri, tuderte anzi viulpianese DOC, parteciperà giovedì 1 marzo a una conferenza alla sala del Consiglio per parlare di questo movimento a distanza di cinquanta anni.

Luciano Priori Friggi, dopo aver frequentato il nostro Liceo, si è laureato in Scienze Politiche, ha tenuto corsi presso l’Università di Perugia e si è occupato di dirigere master postlaurea. Giornalista economico e politico, ha pubblicato vari libri come Ricominciare da Bastiat e Briganti contro l’Italia. In una lunga e piacevole chiacchierata che ha abbracciato moltissimi argomenti ed in cui sono state poste rilevanti ed annose questioni, ha confutato alcuni stereotipi sul Sessantotto e raccontato gli scenari nazionali e locali.

Il Sessantotto è stato indubbiamente un fenomeno culturale importante che ha attraversato quasi tutti i Paesi del mondo con la sua forte carica di contestazione dei pregiudizi sociopolitici. Cosa ha significato per la piccola realtà di Todi?

Todi, è bene ricordarlo, era una cittadina classica dell’Umbria agricola, con un contado di sinistra e un’intellighenzia cittadina di centro-destra. Il centro era dominato dalla Dc, alla base fortemente antifascista. Tempi contrassegnati da grandi dibattiti e da grande impegno civile. I giovani, in particolare liceali, o erano della Dc o di destra. Un’epoca contrassegnata da grandi personalità: John Kennedy, Giovanni XXIII,  Martin Luther King.  I partiti funzionavano da momento di formazione reale del cittadino. Si cominciava a far politica a 13-14 anni. Niente a che vedere con la situazione attuale.

Mario Mirabassi, Giuliana Zoccoli ed Elisabetta Martelli

Nel periodo ’64-’68 le cose cambiarono: Kennedy era stato assassinato, la guerra del Vietnam divideva l’opinione pubblica; in Italia si assisteva alle brutte prove del C.S. (che aveva visto la grande operazione dell’inglobamento del Partito socialista nella maggioranza di governo, sostanzialmente fallita in termini di ammodernamento del Paese, e che aveva dato anzi origine al clientelismo) e ai tentativi di colpo di Stato, come quelli del gen. De Lorenzo, che aveva dietro anche una parte della Dc. Tutto puntualmente denunciato da una vivace campagna di stampa, soprattutto da quel grande giornale che allora era L’Espresso. E una frangia di giovani si radicalizzò. 

Tra questi giovani, desiderosi di tirarsi fuori dal pantano in cui si era cacciata la politica italiana (oltretutto con maggioranze parlamentari risicate, e ostaggio dei partitini), c’ero anch’io.

Mario Mirabassi, Luciano Priori Friggi e Giorgio Crisafi con il “mezzo di trasporto” del Pozzo

Cercammo un appiglio sintonizzandoci sulle lotte di emancipazione civile che stavano sconvolgendo il mondo intero (si pensi alla grande stagione americana per la parità dei diritti tra cittadini di colore diverso) e alle sperimentazioni delle avanguardie artistiche. Lo facemmo attraverso un circolo giovanile come il “Pozzo antico”, il ’68 tuderte, la cui attività fu tuttavia di tipo essenzialmente culturale: teatro, musica, contaminazione tra generi. Non si era mai vista una cosa simile in città. Obiettivamente bisogna dire, senza alcun intento di rinfocolare polemiche fuori del tempo, che subimmo, soprattutto da destra, un’attività di contrasto, intensa e fastidiosa, fatta anche di manifesti cittadini pieni di insinuazioni e false accuse.

Ma noi non eravamo un partito politico, tutti i partiti erano accomunati in un giudizio negativo, ci sentivamo soprattutto “altro”, parte di un movimento più vasto, e ci interessava solo produrre qualcosa di culturalmente “nuovo” (più che “alternativo”, insomma facevamo cose tipo “Spoon River”), che localmente non c’era e che ci piaceva molto fare, tanto che alcuni dei partecipanti a quelle esperienze poi ne hanno fatto una professione in ambito artistico. Devo anche dire che fui ben felice di sottrarmi alle beghe cittadine, grazie alla frequenza dell’università, cui seguì nel ’70 il trasferimento stabile a Perugia.»

Il Sessantotto: momento di crescita civile o causa di rovina della società italiana, trionfo del conformismo di massa?

Attori durante le prove di Spoon River

Siamo ormai a 50 anni dal ’68. Mi piacerebbe parlarne come di un evento che appartiene alla Storia. Del resto per un liceale di oggi forse la percezione è di un qualcosa di lontano, come può essere il fascismo o la prima guerra mondiale. La rovina della società italiana? Era ben presente a noi, già allora, dal momento che contestavamo proprio la deriva che vedevamo lentamente prender corpo. Il ’68 fu solo il punto di arrivo di un decennio (cominciò esattamente nel ’58) in cui fecero irruzione sulla scena internazionale i Movements, nazionali e sovranazionali al tempo stesso. Il ’68 fu la fiammata finale. Protagonisti sicuramente i giovani, soprattutto universitari, ma poi certi temi coinvolsero tutta la società.

Il ’68 è stato, come il 1848, uno dei momenti fondanti, dopo la Rivoluzione francese, della ricerca dei diritti: sia i moti del ’48 che quelli del ’68 hanno perso, ma hanno messo sul piatto dei diritti un grande peso, non fu mai messo all’ordine del giorno il voler ottenere il potere, non è stata una rivendicazione dei poteri ma dei diritti.

E in Italia che successe?

Qui il movimento rifletté il clima generale nel mondo pur senza distinguersi particolarmente. C’era già molta effervescenza, almeno dal ’66, ma, a voler essere precisi, nel ’68 in alcune realtà fondamentali come ad es. Milano, se si esclude una certa persistente contestazione alla Cattolica, non accadde niente di significativo (a darsi da fare furono soprattutto gli studenti medi). Torino e Roma furono molto più reattive. La capitale salì persino alla ribalta della cronaca internazionale per via della battaglia di Valle Giulia. Mentre a Parigi, in maggio, successe di tutto: occupazioni, barricate, manifestazioni gigantesche.

Mario Mirabassi dopo la notizia della morte di Ernesto Che Guevara

Il presidente della Repubblica, Charles De Gaulle, padre della patria, si allontanò dalla capitale per recarsi di nascosto a Baden Baden a colloquio con il generale Jacques Massu, comandante delle forze francesi in Germania. Questa stagione dei movimenti studenteschi si concluse nel ’68, quando gli obiettivi di “agibilità politica”, come si diceva allora, alla fine non furono più un tabù. Tale conquista fu costellata anche di episodi drammatici, come l’uso delle armi automatiche contro un corteo di studenti da parte dell’esercito, a Città del Messico, che fece trecento morti tra i manifestanti.

Quindi nessuna “rovina”… e sul conformismo di massa?

Seriamente, in che modo il ’68 avrebbe “rovinato” la società italiana? Bisogna argomentarlo, e solo allora si può tentare di dare una risposta. E quanto all’accusa di aver creato un conformismo di massa, anche per ragioni di spazio e per semplificare, ed essendo ospite di un liceo, mi viene da citare Aristotelefu forse il filosofo greco il responsabile di ciò che  accadde al suo pensiero, imbalsamato e venduto poi in pillole miracolose?

Sai qual è lo slogan più conosciuto del ’68? “La fantasia al potere”, non certo l’ “affarismo al potere”, che – azzardo – forse è la vera grande iattura odierna. In buona sostanza non reclamavamo il potere reale, non eravamo un partito, abbiamo lottato inizialmente contro un autoritarismo assurdo che negava i più elementari diritti di espressione nelle istituzioni scolastiche, e per conquiste civili, compresa la parità giuridica uomo/donna, obiettivi sostanziali non demagogici; non possiamo assumerci oggi responsabilità che sono di altri, e soprattutto successive. Senza contare che nel mondo, e in particolare in Italia, c’era una varietà incredibile di componenti politico-ideologiche vecchio stampo, estremiste, che tentarono fin  da subito di sovrapporsi alla spontaneità del movimento.  

E allora, semmai, c’è da evidenziare un aspetto, mentre nel mondo il ’68 finì con il 1968, da noi sembrò che continuasse – sotto altre forme, neppure troppo nuove dal punto di vista organizzativo – negli anni Settanta. Nel qual caso si dovrebbe ammettere che prima ci sia stata un’insufficienza di “critica”, in un movimento che aveva fatto della “demistificazione” uno dei suoi cavalli di battaglia. Io però continuo a pensare che mettere tutto assieme, ideologie e prassi di epoche diverse, è un modo di analizzare i fatti storici poco corretto, innanzitutto da un punto di vista metodologico. Si pensi alla circostanza, per limitarci a un solo dato, che il contesto generale italiano mutò radicalmente già a partire dal ’69So bene che l’argomento può suscitare ancora qualche polemica, ma per chi c’era tale accusa appare, questo sì, come una sorta di conformismo scacciapensieri.

 

Di seguito il programma della conferenza di giovedì 1 marzo 2018 dal titolo “Processo al ’68”, che si terrà nella Sala del Consiglio comunale alle ore  9:30 

I Parte

Filmato – Lettura brano

Prof. Sergio Guarente

Il ’68: una cronaca degli avvenimenti

Prof. Gianluca Prosperi

Gli slogan del ’68

Prof. Roberto Gatti

Il ’68 e l’est europeo: la primavera di Praga

INTERVALLO

II Parte

Prof. Francesco Giubilei

Gli “errori” del ’68

Dott. Luciano Priori Friggi

Il ’68 e i meccanismi di azione/reazione

 

 

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1 commento

  1. Grazie innanzitutto per l’intervista.
    So bene che del ’68 si parla ancora troppo e spesso a sproposito, forse questa intervista può aiutare a valutarlo con maggiore consapevolezza.
    Un paio di precisazioni a proposito delle foto.

    1) Quella di Mario Mirabassi con l’immagine del “Che” non rappresenta una “linea” politica del “Pozzo Antico”, che non ne aveva, ma semplicemente un suo tributo a un’icona dell’impegno politico totale e disinteressato, come del resto anche oggi succede, anche dall’estrema destra, verso questo personaggio.

    2) La Volkswagen Maggiolino non era il “mezzo di trasporto” del Pozzo, ma l’auto di un nostro amico, P.S., emigrato a Berlino, il quale, folgorato dal ’68 tedesco e tornato in estate per un breve periodo a Todi, subì la nostra reazione di provincialotti dopo il suo racconto sulle meraviglie del “movimento” teutonico.

    Appuntamento al primo marzo.

    Luciano Priori Friggi

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