PARLA CON LUI: PER NON RESTARE SENZA PAROLE DI FRONTE ALLA VIOLENZA

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TODI – Il 25 novembre è stata celebrata la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una ricorrenza voluta dalle Nazioni Unite e istituzionalizzata il 17 dicembre 1999 con una Risoluzione , la 54/134, dove la violenza contro le donne viene definita come “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”.

Violare una donna significa privarla dei suoi diritti umani ed è conseguenza della discriminazione di genere. Ma ciò non è ineluttabile: l’informazione e la prevenzione sono i primi passi per impedire che le vite di un sempre crescente numero di donne vengano spezzate.

Per la ricorrenza di questa significativa data il Coordinamento Donne Todi, come suol fare ogni anno, ha organizzato una serie di iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema.

Un’installazione artistica, opera di Anna Maria Vignanelli, è stata collocata presso i Giardini Oberdan per la tutta la giornata, a seguire nel pomeriggio la proiezione del documentario “Parla con lui” di Elisabetta Francia, presentato dalla presidente del Coordinamento Donne Todi Chiara Giussani , e introdotto da una coreografia a cura di Aurora Amato e Chiara Picchiantano del Tuder Ballet Studio.

“Parla con Lui “ è un documentario finanziato dal Ministero delle Pari Opportunità e dalla Provincia di Milano in cui la violenza domestica viene raccontata dal punto di vista maschile. Uomini “maltrattanti”, “stalker”, “sex offender”, ma anche giudici, poliziotti, riflettono su quali siano i meccanismi che portano un uomo ad agire violentemente in una relazione.

Girato nel 2010 è un contributo personale della regista, il cui fine è quello di sensibilizzare le coscienze . L’idea è nata dalla ricerca delle cause scatenanti la violenza. Avere a che fare con queste storie è stato particolarmente gravoso a livello emotivo per Elisabetta Francia, che scelse di intervistare solo uomini italiani senza problematiche riguardanti abuso di alcool o droghe. 

“Noi uomini non siamo capaci di amare perché vediamo la donna come un oggetto” 

La visione maschile della figura femminile viene analizzata da capo a fondo, individuando una donna fragile, stereotipata e idealizzata, che a volte spaventa l’uomo che non la conosce abbastanza. La radice è da cercare nella storia di una società misogina e maschilista; la sessualità è uno strumento di piacere dove la comunicazione viene surrogata dalla violenza. “Non c’è più la donna di una volta” è un’ eco che rimbomba nelle nostre orecchie da quando le donne hanno iniziato ad occuparsi di “affari maschili”. L’emancipazione della donna moderna causa forti insicurezze nell’uomo che sa di aver perso la sua dominanza, credendo di assistere a uno stravolgimento delle parti definito in ragazze troppo aggressive e pretendenti. 

La violenza non si manifesta unicamente in forma fisica; quest’ultima viene sempre anticipata da una sottovalutata violenza psicologica e verbale. Mettere in discussione la sanità mentale della propria compagna, manipolarla e sminuirla sono i primi comportamenti anomali messi in atto dallo stalker.  Questa figura viene ripetutamente presa in esame in più soggetti intervistati dalla regista. Lo stalker è solitamente individuato in un ex partner che, spinto da un sentimento di vuoto, e privato da ciò che gli “apparteneva”, instaura un rapporto in simbiosi con la vittima non più consenziente. Distorce la realtà vedendo nella sua presenza persecutoria la dimostrazione di puro amore , non più tale dal momento in cui viene tradotto in violenza. ”Le botte servono a far diventare tenero ciò che è duro, come il cervello di certe donne che non vogliono capire”.  La violenza fisica, apice di ogni crudeltà, non viene negata dal molestatore, che tuttavia cerca di minimizzarla giustificando le sue azioni fondate sulla mancanza di affettività e dialogo.

Questo iter attraverso le cause che spingono un uomo ad agire aggressivamente si è concluso lasciando in ogni presente un forte dissenso verso le parole degli intervistati. Ricevere una risposta ai nostri perché ha incrementato la riluttanza e la mancanza di comprensione per un fenomeno in alcun modo tollerabile. La prevenzione e l’informazione, a partire dai più giovani, ma soprattutto l’educazione alla non violenza possono impedire che fenomeni del genere continuino ad esistere.

Le installazioni che Anna Maria Vignanelli esegue da oltre dieci anni in occasione  del 25 novembre nascono con l’intento di condividere  con  la comunità tuderte il dramma sociale  della violenza contro le donne, determinato anche dalla condizione di subalternità sociale e culturale in cui è confinato “l’universo donna”. “Certamente oggi c’è maggiore attenzione  nei confronti delle problematiche femminili, sono stati fatti molti passi avanti, abbiamo guadagnato posizioni importanti. Tuttavia, permane la spiacevole percezione, il forte disagio che questo “buonismo” sia più di facciata che sostanziale, più un ottimo argomento da  talk show  che una problematica condivisa nel profondo: un atto dovuto, ma non voluto!”. L’installazione di quest’anno ai giardini Oberdan era costituita da maschere bianche insanguinate, appese con un nastro rosso ai rami degli alberi, una maschera per ogni donna violentemente uccisa (più di cento anche nel 2021) con accanto la foto e la  drammatica storia di ciascuna. La maschera bianca, vuota al suo interno e sporca di sangue,  simboleggia la solitudine, l’indifferenza e,  in un certo senso,  l’anonimato entro il quale nasce e si conclude un dramma mortale. Una tragedia che si nutre della condizione di fragilità in cui  si trovano troppe donne, lasciate da sole  alla mercé del “vento” dei pregiudizi e dell’ingiustizia. 

“La ragione  delle installazioni che da anni faccio nella giornata del 25 novembre è riposta nella  volontà di non essere complice, di non tacere, di alzare una voce, seppure esile, contro l’ingiustizia. Ogni installazione è la  rappresentazione  visiva di   una sciagura nazionale. Un appello a difendere le donne, a salvare dai mostri le nuove generazioni. Noi donne unite, tutte insieme, mai più vittime!”

Anastasia Franco

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