
Il 07/05/2025 durante l’ultima Assemblea d’Istituto il life coach, counselor, psicologo e psicoterapeuta Flavio Boschi ha tenuto una presentazione sul tema dei disturbi del comportamento alimentare. Invitato dai rappresentanti, è arrivato in Aula Magna con un pubblico già numeroso ed ha iniziato la sua presentazione semplicemente ringraziandoci. Eravamo in 48 secondo il registro, e lui ci ha detto 48 grazie, come se fossero uno a testa, una dose di gratitudine per ciascuno dei presenti. Sicuramente un ringraziamento più originale del tanto usato “grazie a tutti”. L’originalità dell’incontro si è poi espressa con una frase un po’ contraddittoria: “Parleremo di cibo senza parlare di cibo, di disturbi del comportamento alimentare senza parlare di disturbi del comportamento alimentare.” Perché purtroppo sono qualcosa che va a coinvolgere il cibo ma anche la percezione di sé stessi, del proprio corpo e del ruolo che ognuno di noi ha nella sua stessa vita. Dopo una piccola digressione su quali siano le figure di aiuto a cui rivolgersi per avere degli strumenti per affrontare meglio la quotidianità e sulle loro differenti funzioni e possibilità di azione, il conferenziere ha detto un’altra frase ossimorica: “Il cibo è un veicolo di significati affettivi, è nutrimento ma anche veleno. Un esperanto relazionale”. L’esperanto è una lingua artificiale, creata per essere compresa da tutti. Anche il cibo è così, lo utilizziamo per metterci in relazione gli uni con gli altri, basti pensare a quando chiediamo ad un amico di vederci per un caffè, oppure di incontrarci subito dopo pranzo, intendendo magari di raggiungere il luogo concordato attorno alle 14. Così si distinguono tre tipi di fame: la fame come stimolo, quella che fa brontolare lo stomaco, la fame di struttura, quella che ci fa scandire il tempo durante la giornata, ed infine la fame di riconoscimento, ovvero quella di essere riconosciuti dagli altri come qualcuno di simile a loro. Questa è la più insidiosa, ma ci accomuna tutti. È la voglia di assomigliarci il più possibile, di essere tutti uguali e di far sembrare al mondo che tutto nella nostra vita vada bene o che se non altro ci scivoli addosso. Per dirla in altri termini vogliamo comunicare al mondo esterno di stare sempre nel chill, anche quando non lo siamo affatto. Perché non essere nel chill, può essere visto male e può causare in noi un sentimento di vergogna, che si prova anche quando non si riesce a raggiungere qualcosa e ci si sente come se avessimo perso la nostra reputazione.

Noi viviamo in una società che ci impone un canone di bellezza non troppo semplice da raggiungere: ragazze magre, sempre truccate alla perfezione e con unghie e capelli sempre curati, ragazzi muscolosi e ben vestiti che si comportino da duri. E ce li impone come qualcosa da raggiungere subito, per cui se non si riesce è un fallimento, qualcosa di inaccettabile. Quando si crea una spaccatura tra come una persona si percepisce, come la vedono gli altri e come vorrebbe essere, è da quella spaccatura che scaturisce la vergogna.
Dalla vergogna nascono a loro volta due grandi piaghe sociali: il bullismo ed i disturbi del comportamento alimentare. Uno psicologo può aiutare ad affrontarli, ma sarebbe bene prevenirli capendo che la vergogna è un sentimento normale e che l’essere è diverso dall’apparire. Poi lo psicoterapeuta ci ha dato dei consigli di lettura: “Specchio delle mie brame” di Maura Gancitano, “La società della performance” di Maura Gancitano e Andrea Colamedici ed infine “L’era della dopamina” di Anna Lembke. Ha poi chiesto dei feedback sulla sua lezione, e tra chi l’ha trovata interessante, divertente e spiazzante, ci sono state persone toccate nel profondo, perché si sono riviste in qualche frase, situazione o sentimento, oppure perché hanno capito di essere molto meno nel chill di quanto credevano.
Caterina Isacco
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