
Un ponte tra Italia e Germania: costruisci la tua carriera all’estero!
Così recita la locandina del progetto “Eine Chance Ausbildung in Deutschland”, un’iniziativa di formazione professionale duale in Germania rivolta ai giovani tra i 18 e i 24 anni: l’esperienza ideale per i neodiplomati che hanno studiato tedesco e desiderano intraprendere un percorso unico che possa aprire loro le porte del mondo del lavoro.
L’Europäische Ausbildungs- und Transferakademie für junge Erwachsene (Accademia europea di formazione e trasferimento per giovani adulti) ospita gli studenti che scelgono questo percorso, offrendo loro un alloggio gratuito (le cui spese vengono coperte da un contributo del Jobcenter), un contratto di tirocinio remunerato con un’azienda (500 € al mese per 6-12 mesi) e un training affiancato da lezioni in una scuola professionale. Il “tirocinio formativo” viene attivato a seconda del livello di lingua tedesca: possedere già una certificazione B1 permette di accedere direttamente alla candidatura per il tirocinio a scelta, mentre, nel caso non si possegga detta certificazione, è necessario sottoporsi ad un colloquio in lingua al fine di determinare le competenze linguistiche e attivare le procedure per l’esame.
Il progetto è piuttosto recente nella nostra scuola: proposto per la prima volta l’anno scorso, ha subito suscitato l’interesse di professori e studenti, soprattutto tra quelli indecisi su cosa fare una volta terminati gli studi superiori. Nello specifico, quattro delle nostre ragazze (Costanza Biscaroni, Sara Mile, Agnese Scura e Martina Tesoro) hanno preso la decisione di lanciarsi in questa esperienza e risiedono attualmente ad Ellwangen (Jagst), una cittadina vicino a Stoccarda, nella regione di Baden-Württemberg.

La settimana scorsa abbiamo avuto l’occasione di parlare con Sara Mile (ex redattrice di Sottob@nco, tra l’altro), tornata per qualche giorno in Italia, che ci ha raccontato la sua esperienza e le sfide che ha dovuto affrontare durante il suo periodo di permanenza in Germania.
Ciò che l’ha spinta a intraprendere questo percorso è stata, da un lato, una spinta interiore del tutto personale, dall’altro la determinazione, la voglia di fare e, sì, anche l’indecisione. “Perché l’indecisione?” ha spiegato. “Perché io non sapevo che cosa fare dopo il liceo; ammettiamolo perché è importante, non tutti i liceali, o comunque non tutti quelli che finiscono gli studi superiori, sanno dove andare, cosa fare, quale università intraprendere, se fare l’università. Ci sono tantissimi sbocchi, tantissime opportunità: siamo nel 2025 e il mondo è veramente vastissimo. E allora anche questa indecisione ha giocato un ruolo importante nella mia scelta. Non sapendo cosa fare, mi sono detta: ci provo. Come va va, casa ce l’ho, posso ritornare quando voglio. E quindi sono partita”.
Ovviamente la partenza e il primo periodo in Germania, lontana dai cari e dal supporto familiare, non sono stati facili per Sara. “La prima difficoltà che ho incontrato è stata sicuramente la solitudine” ha raccontato lei stessa. “Se dovessi riassumere questi mesi in una parola, direi nostalgia. […] Quando si parte e ci si ritrova da soli, da quel niente che si ha bisogna costruire qualcosa. È normale che ci vorrà del tempo, è normale che non sarà immediato; dal modo di relazionarsi con le persone a qualsiasi altro punto di vista. Ad oggi, parlando anche dal punto di vista lavorativo, posso dire di essermi guadagnata una certa fiducia con le persone con cui lavoro: ad oggi mi sento rispettata e c’è un ambiente caloroso, mentre prima, ovviamente, non era così”.
La Germania, del resto, rappresenta un mondo completamente diverso rispetto al nostro Paese. “Le differenze con l’Italia sono enormi. […] In Germania organizzazione e puntualità sono la norma. Non sei automunito? Non è un problema, perché ci sono i mezzi ovunque. Per esempio, un lavoratore in Germania è obbligato ad avere l’assicurazione sanitaria: la prima cosa che mi è stata fatta è infatti la tessera sanitaria tedesca. Ecco, l’efficienza è a livelli estremi. […] Inoltre, la Germania a livello lavorativo offre tantissime opportunità, vastissime.”
In effetti, come Sara stessa ci ha confermato, anche chi non possiede un’auto può vivere senza problemi grazie a un sistema di trasporti pubblici altamente sviluppato e capillare. Le città tedesche offrono una vasta rete di mezzi pubblici, tra cui treni, tram, metropolitane e autobus, che collegano efficacemente ogni angolo del paese, anche le aree più remote.
Per chi cerca la massima flessibilità, esistono anche soluzioni come il car-sharing e il bike-sharing, che completano l’offerta di trasporti senza la necessità di possedere un veicolo proprio. Questo modello di mobilità sostenibile ha reso la Germania un esempio da seguire per molte altre nazioni.
Tornando al progetto, Sara ha scelto di intraprendere un tirocinio nell’ambito pedagogico e lavora attualmente in un asilo, dove ogni giorno ha l’opportunità di entrare in contatto con i bambini e con la loro spontaneità.
”Ho vissuto la realtà dell’infanzia, dei bambini, che a mio parere è la realtà più importante. Perché è lì che parte la crescita, è grazie a quella educazione iniziale che poi diventeranno donne e uomini. […] La scuola ha un valore enorme nella crescita di un bambino, di un ragazzo, e più in generale, nell’evoluzione di ciascun individuo. Ho visto bambini straordinari; lavorando con loro tutti i giorni, vedo quella spensieratezza, quella innocenza che è propria dei bambini, e che è la cosa più pura che hanno; è quella sincerità che li spinge a dire loro quello che passa loro per la testa, a fare le domande più strane. […] Eppure [in Germania] è tutt’altro mondo. I bambini sono autonomi: a pranzo si servono da soli, tenendo sempre conto di quanto riescono a mangiare, così da evitare lo spreco di cibo. Può sembrare una piccolezza, però è tanto per un bambino; è tantissimo, perché è un insegnamento che rimane, che lascia il segno.
Ritornando a quanto detto prima, sono rimasta affascinata da questo mondo, per quanto stancante mentalmente: bisogna essere sempre presenti e ascoltare tutto quello che [i bambini] dicono, perché stanno attenti a tutto. Anche mentre noi grandi parliamo tra di noi e sembra che loro non ascoltino, in realtà captano, ascoltano ogni parola, ripetono tutto e si comportano di conseguenza. È davvero incredibile”.
Questa esperienza ha quindi segnato un punto di svolta fondamentale nel suo percorso di crescita personale, un cambiamento che sarebbe stato difficile da realizzare restando in Italia.
”Mi sento una persona cambiata, sotto tanti punti di vista” ha commentato lei stessa. “Una persona che riesce a prendere decisioni da sola, che ha una forza diversa da quella iniziale. Sì, per partire, per fare questa esperienza, si deve essere abbastanza forti da reggere l’impatto, il distacco, soprattutto se si è emotivamente attaccati ai cari, alla famiglia e a tutto ciò che ci circonda. […] Siamo in un’età in cui possiamo fare veramente di tutto, e se non lo facciamo ora, non lo facciamo più. Io lo vedo, lo vedo con i genitori, lo vedo con le persone più grandi che mi circondano. Puoi dire sempre: sì lo faccio, sì lo farò; poi cresci, poi diventi grande, poi entrano tante più responsabilità di quelle che già hai a vent’anni, poi la famiglia, poi i figli, poi… Poi dici: ormai è troppo tardi. Non bisogna mai rimandare“. Può fare paura, sì, ma questo distacco gioca un ruolo cruciale nella crescita e nel cammino verso l’indipendenza; insegna a uscire dalla comfort zone e ad acquisire consapevolezza di insospettabili qualità e potenzialità.
“Quello di fermarsi al primo ostacolo è un problema che attanaglia tantissimi ragazzi” ha commentato inoltre Sara. “Però l’ostacolo va scavalcato in qualche maniera: per sotto, per sopra, per destra, per sinistra. Va fatto. Una volta sbloccata questa “paura”, o meglio questa “non consapevolezza”, respiri: ce l’hai fatta, è una liberazione. Acquisisci consapevolezza, indipendenza, e non dai nulla per scontato. Perché l’unica forza sei tu e basta; devi fare affidamento sulle tue gambe, non c’è nessuno che ti aiuta; non c’è la mamma, non c’è il papà. O meglio, ci sono perché fortunatamente abbiamo i telefoni e tantissimi strumenti per tenerci in contatto, però se c’è un problema in quel momento, in quel secondo, non te lo possono risolvere la mamma e il papà, te lo devi risolvere da solo. […] Lì se tu fai un errore te ne prendi le responsabilità e vai avanti. E trovi il modo per ripararlo, l’errore.
[…] Non pesi su nessuno: solo su te stesso e sulle tue gambe.”

Cosa è necessario, dunque, per affrontare questo percorso? Glielo abbiamo domandato e lei ci ha risposto in modo molto chiaro: “Bisogna avere determinazione e un atteggiamento aperto, nei confronti di tutti. Banalmente, nel mio asilo non ci sono solo bambini tedeschi, anzi. Ci sono bambini da tutte le altre parti [del mondo].” In effetti si parla sempre della Germania in un certo modo, proponendo il classico stereotipo del tedesco “duro” e freddo, ma la realtà è diversa. Questa varietà è uno degli aspetti più arricchenti di vivere in un paese così multiculturale. Un concetto che si traduce nel termine Multikulti (“multiculturalismo”), nato negli anni ’70 per descrivere la varietà etnica e culturale che ha caratterizzato la Germania a partire dal Wirtschaftswunder, il miracolo economico.
“Quando vai una, due settimane, non te ne rendi conto, ma quando vivi dentro a quella realtà… Non c’è solo la tua, di realtà, ce ne sono tantissime”.
“È un’esperienza che consiglio” ha concluso Sara. “Permette di acquisire un’indipendenza che restando nella propria realtà comoda non si acquisirà mai, neanche con l’università, che, per quanto impegnativa, non fa vivere certe esperienze concrete. […] Incontrare altre persone, lontane da quella che è la propria realtà, aiuta anche ad abbattere gli stereotipi. Ad andare oltre.”
Guardando al futuro, Sara ha le idee piuttosto chiare su cosa fare una volta tornata in Italia: “Penso di iscrivermi all’università per studiare educazione e formazione primaria, per mettere a frutto tutto ciò che ho imparato.” Un percorso che le permetterà di non dimenticare mai l’importanza di questa esperienza, che l’ha portata ad essere la persona che è oggi.
Infine, ha dato un consiglio prezioso a tutti gli studenti: “Chi studia le lingue non deve trattarle solo come materie scolastiche, ma come qualcosa che va oltre, che permette di abbattere le barriere culturali e diventare più consapevoli. Bisogna aprirsi. Per questo imparare una lingua è una delle cose più difficili, ma è anche una delle opportunità più grandi che possiamo avere”.
Una riflessione che risuona forte, soprattutto per chi studia lingue e desidera ampliare i propri orizzonti. L’apprendimento linguistico non è solo uno strumento pratico, ma una porta verso nuove esperienze, conoscenze e opportunità: opportunità di conoscere, appunto, ma anche di crescere e di migliorarsi, imparando ad apprezzare il diverso e ad esercitare il pensiero e lo spirito critico. E in un mondo interconnesso come quello attuale, in cui è sempre più facile entrare in contatto con modi di vedere e di pensare ben diversi dai nostri, ciò risulta particolarmente importante.
Ainett Fratini e Caterina Mazzasette
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