Progetto YAPS: sanità e scuola insieme per le nuove generazioni

«Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato» -Antoine de Saint-Exupery

La vita è una collana in cui ogni perla, nella sua unicità, riflette l’essenza di una tappa significativa da noi vissuta. Ma ahimè, per molti la perla dell’adolescenza, rispetto a quella dell’età infantile, risulta più opaca. Nell’immaginario collettivo è dipinta come una fase che attanaglia l’innocente serenità puerile; è il momento in cui siamo più malleabili e, per questo, inermi di fronte alla tempesta; è la spada di Damocle che grava sulla salute mentale degli individui. Quanti avrebbero voluto una spalla su cui piangere quando eravamo dilaniati dalle preoccupazioni? Quanti vorrebbero ancora trovare il coraggio di chiedere aiuto?

Nel nostro piccolo al Liceo Jacopone da Todi stiamo iniziando a porre le basi per apportare delle soluzioni concrete in merito. Dallo scorso anno la scuola ha aderito a un’iniziativa profondamente significativa per noi giovani: il progetto YAPS: “young peer and school”, frutto della collaborazione con gli assistenti socio-sanitari dell’USL Umbria 1. Si basa sull’applicazione del sistema della peer education (educazione tra pari), una strategia educativa flessibile che riposiziona la centralità del ruolo pedagogico dall’esperto della materia all’allievo, motivato e opportunamente formato, con l’obiettivo di attivare il passaggio di conoscenze, emozioni ed esperienze da parte di adolescenti ad altri adolescenti. Il peer educator, mediante questa istruzione orizzontale priva di gerarchie di potere, si rende disponibile nell’accogliere/farsi accogliere da un suo “pari” con la maggiore apertura possibile. Naturalmente l’obiettivo di queste figure non è assolutamente quella di voler screditare o sostituire i “piani alti” di scuola, salute o famiglia; piuttosto si vuole fornire uno scorcio alternativo. In genere si creano gruppi di 15-20 persone (tra i 16 e i 18 anni) che aderiscono volontariamente questa sfida sia per apportare aiuto sia per crescere a livello personale. Ci si augura che nella nostra scuola questa rete prosegua anche negli anni venturi assumendo pian piano uno spessore sempre più significativo.

Tale iniziativa prende forma a livello internazionale a partire dal rapporto OMS del 2001: a causa dei drastici cambiamenti che animano la contemporanea società europea, le statistiche relativa all’incidenza di problemi sociali dimostrano la diffusione di comportamenti dannosi tra le fasce più giovani della popolazione: aumento di assunzione di droghe, alcol, del tasso di suicidi, di disordini psichici infantili, bullismo… Sull’onda di questa scoraggiante situazione, la Comunità Europea e l’OMS stessa individuano la scuola come contesto educativo privilegiato in cui mettere in atto dei programmi di prevenzione. Si mira soprattutto a incrementare – accanto alla formazione culturale – l’alfabetizzazione emotiva e sociale, spesso trascurata. È un appello a non dimenticarci che prima di essere soggetti da istruire siamo persone. Può costituire anche una risposta alla necessità di confronto tipica degli adolescenti che si avviano verso l’individualizzazione: mentre nell’infanzia l’ente di riferimento era la famiglia, con la crescita servono rapporti alternativi che possano allentare il vincolo “obsoleto”.

I 18 Peer Educator del nostro istituto, dopo aver condotto un corso di formazione curato dal Dott. Amilcare Biancarelli e dalla Dott.ssa Lucia Scortecci, si faranno promotori della salute, non solo sensibilizzando e trasmettendo informazioni sul personale benessere psico-fisico, ma anche rafforzando le competenze cognitive e relazionali dei compagni. Proprio per il ruolo di “facilitatori” che assumono, il loro primario obiettivo è creare un ambiente rassicurante, privo di qualsiasi fonte di giudizi e rispettoso della privacy.

Come detto precedentemente si tratta di un’iniziativa recente non ancora giunta alla sua forma definitiva: la proposta è quella di creare dei veri e propri gruppi d’ascolto e sportelli di sostegno in cui affrontare tematiche diverse, contando sul sostegno di coetanei. Il presupposto è che trattare di argomenti delicati (quali: dipendenze, ansia, disturbi comportamentali, difficoltà generiche…) risulti più facile davanti a un coetaneo che non a una figura “autoritaria”. Ma d’altro canto è innegabile che, di fronte alla proposta di un approccio del genere, il singolo potrebbe mostrarsi ostile: perché dover “sperperare in giro” i fatti propri? Come abbattere il muro della timidezza che impedisce di essere trasparente? E come far fronte alla vergogna che ci tappa la bocca? È altrettanto sicuro che se non ci si blocca di fronte a queste prime criticità apparentemente insormontabili e si trova l’approccio giusto per sé, i benefici di questo sistema inizieranno a fiorire. Quando ci si trova coinvolti in un gruppo si acquisisce fiducia verso gli altri membri: non importa il tempo necessario, talvolta anche il semplice ascolto può confortare. Magari non siamo soli come ci sembra. Magari il ragazzo che credevo così distante da me condivide il mia stessa ferita. Magari potrei fargli comprendere la mia vicinanza con un semplice sorriso.

Molto spesso sottovalutiamo le risorse a nostra disposizione; se invece di restare ingabbiati nei propri pensieri cercassimo uno spiraglio di luce altrove, riusciremmo a collezionare frame migliori della nostra adolescenza. E perché, nel momento in cui ci vengono proposte delle soluzioni, non ci possiamo semplicemente buttare senza pensarci troppo? Siamo i demiurghi del nostro stesso futuro, tutto dipende da noi. Le prossime generazioni dipendono da noi. Non lasciamo loro in eredità la concezione della sanità mentale come un taboo. Partiamo da noi, per noi.

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