DCA, COME NASCONO E COME COMBATTERLI

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“I nostri comportamenti sono condizionati dai pensieri: quando il cibo, il peso e le forme corporee diventano una vera e propria ossessione, allora è fondamentale chiedere aiuto”


Gironzolando per il web, o anche solo ascoltando qualche servizio alla TV a tutti è sicuramente capitato di sentire parlare dei Disturbi del Comportamento Alimentare (anche noti con l’acronimo di DCA); tuttavia non tutti sanno nello specifico di cosa si tratta e, soprattutto, come fronteggiare correttamente questo problema. Ma come nascono questi disturbi? Da cosa sono provocati? E, soprattutto, perché negli ultimi anni i casi sono sempre più in crescita?

La dottoressa Laura Dalla Ragione, psichiatra, psicoterapeuta, fondatrice e dirigente della Rete per i Disturbi del Comportamento Alimentare della USL 1 dell’Umbria nonché del Centro Disturbi del Comportamento Alimentare Residenza Palazzo Francisci di Todi, ha gentilmente accettato di rispondere a queste, ed altre, domande proprio a tal proposito. 

Spesso sia i diretti interessati sia le persone che li circondano (amici, genitori) sembrano non riconoscere la gravità della situazione, riducendo il tutto a “nuove e normalissime abitudini alimentari”. Quando, dunque, quelli che possono essere semplici cambiamenti dei propri usi alimentari si trasformano in comportamenti pericolosi dai quali diventa difficile uscire? E soprattutto, quali sono quelli che colpiscono per la maggior parte noi ragazzi e in quale fascia d’età?

I primi segnali che accompagnano o precedono l’insorgenza di un Disturbo del Comportamento Alimentare riguardano una crescente preoccupazione per la quantità e la qualità degli alimenti, ma anche per la propria immagine corporea. Insieme a questi segnali, può aumentare il tempo che i ragazzi dedicano allo studio o all’attività sportiva mentre sembrano spegnersi progressivamente il desiderio di stare insieme ai propri amici, l’interesse per le relazioni e per le proprie passioni. Insieme al ritiro sociale, può rappresentare un segnale d’allarme il cambiamento del tono dell’umore, che può diventare maggiormente irritabile.

Nella fascia d’età dell’infanzia, invece, i comportamenti a rischio si presentano con una selezione sempre più ristretta della tipologia di alimenti, in base anche alla consistenza o al colore dei cibi. I nostri comportamenti, non solo quelli alimentari, sono condizionati dai pensieri: quando il cibo, il peso e le forme corporee diventano una vera e propria ossessione, alla quale si pensa molto frequentemente durante la giornata, allora è fondamentale chiedere aiuto, rivolgendosi a dei professionisti con una formazione specifica.

Molto spesso questi comportamenti sono condizionati dal contesto in cui una persona vive e cresce; quanto è rilevante allora (specialmente in questi anni sempre più “dominati” dai social media e dai cosiddetti influencer) la pressione esercitata non solo alle volte dagli amici, parenti ecc… ma anche dai “canoni di bellezza” imposti dalla società, su un ragazzo o una ragazza in piena crescita?

I fattori socio-culturali dell’età moderna, quindi l’associazione tra magrezza e bellezza, l’attenzione all’immagine corporea e l’industria della dieta condizionano la forma che prende il disagio psicologico dei giovani. I canoni di bellezza moderni non si possono considerare delle cause nell’insorgenza dei DCA, quanto piuttosto dei fattori che ne modellano il modo in cui si manifestano; l’origine dei Disturbi Alimentari è multifattoriale, non esiste una causa unica ma una concomitanza di fattori che possono interagire tra loro nel favorirne la comparsa e il perpetuarsi. In essa vengono ad interagire fattori che creano una sorta di predisposizione o vulnerabilità (fattori genetici che interagiscono con fattori culturali) su cui agiscono altri fattori scatenanti (ad esempio un trauma o un periodo particolarmente stressante, ad esempio la pandemia da Coronavirus) che fanno precipitare la situazione. Questa a sua volta crea i presupposti perché la malattia si autoperpetui.

Non si devono confondere gli effetti influenzanti della cultura, quelli cioè che modellano la forma dei sintomi, con i processi patogenetici, ovvero quelli che provocano le malattie.

L’aumentata prevalenza di pazienti con DCA probabilmente rappresenta una popolazione di individui vulnerabili che, in altri tempi, avrebbero sviluppato forme diverse di patologie nevrotiche (ansiose) o depressive.

Da recenti studi risulta che, contrariamente a quanto si è creduto fino a non molto tempo fa, i numeri di ragazzi (intesi come maschi) affetti da disturbi del comportamento alimentare, specialmente nell’ultimo anno, è in crescita; come mai i ragazzi, da che sembravano essere quasi “immuni” a questo tipo di problematica, adesso invece ne sono sempre più coinvolti?

Fino a qualche anno fa, la donna, più dell’uomo, era bersagliata da una forte pressione sul proprio corpo e sulla propria immagine, come tramite per il raggiungimento dell’approvazione sociale. All’uomo invece spettava affermarsi socialmente attraverso lo studio ed il successo lavorativo ed economico: tuttavia la società attuale espone anche i ragazzi a prestare maggiore attenzione alla forma del proprio corpo, ricercandone una perfezione in termini di massa muscolare e di forza. Se, fino a qualche anno fa, i Disturbi del Comportamento Alimentare erano di pertinenza prettamente femminile, ad oggi è in notevole aumento il numero di ragazzi che diventano patologicamente ossessionati da attività fisica, anche facendo ricorso a pericolosi ausili, come gli steroidi anabolizzanti.

Queste situazioni coinvolgono, chiaramente, anche i genitori e gli affetti più stretti della persona che soffre di questi disturbi; cosa consiglia/ si sente di dire a chi si ritrova in queste circostanze, seppur non ne sia, appunto, direttamente coinvolto?

Le famiglie, per poter accettare il disturbo e quindi chiedere aiuto devono poter uscire dalla trappola della vergogna e del senso di colpa associati al sintomo dei figli: i genitori non sono colpevoli della sofferenza dei ragazzi, ma possono essere anzi l’ancora di salvezza dei propri figli. I Disturbi del Comportamento Alimentare infatti sono una patologia egosintonica, chi ne soffre cioè, soprattutto all’inizio, non è consapevole della gravità e della pericolosità della propria condizione e non è assolutamente motivato ad accedere ad un percorso di cura; per questo l’intervento tempestivo dei familiari è di fondamentale importanza.

La famiglia, secondo il nostro approccio di cura e la nostra visione del sintomo, non è mai ritenuta colpevole, anzi il lavoro che facciamo è quello di trasformare il senso di colpa delle famiglie in responsabilità; non ci focalizziamo sui limiti e sulle colpe dei familiari, ma andiamo alla ricerca delle loro risorse, che vogliamo valorizzare e riattivare per mobilitarle nella cura della persona.

Le famiglie, se accolte senza giudizio e guidate, possono diventare delle alleate molto preziose nella lotta contro il Disturbo Alimentare.

Cosa vuole dire invece a tutte quelle ragazze e ragazzi che non hanno il coraggio di fare il grande passo e riconoscere che hanno bisogno di essere ascoltati ed aiutati?

Guarire da un Disturbo del Comportamento Alimentare è assolutamente possibile e per farlo è necessario affidarsi alle cure di professionisti esperti, adeguatamente formati e specializzati. Lo stato della malattia è fortemente influenzato, più che dalla gravità del sintomo, da alcuni fattori fondamentali, che sono la tempestività dell’intervento e la continuità e specializzazione delle cure. Oltre il muro della paura e della vergogna, ci sono tanti specialisti pronti e preparati con conoscenze, competenze ed umanità, al servizio di chi soffre di questa dolorosa patologia del corpo e dell’anima.

Viviamo in una società dove il giudizio altrui su sé stessi conta sempre di più del proprio. Cos’è necessario fare, secondo lei, affinché i ragazzi comincino ad assumere consapevolezza di chi sono e dunque ad accettarsi per come sono?

È auspicabile che le principali agenzie educative, quindi famiglia, scuola, associazioni sportive e culturali, compiano un lavoro di formazione sui giovani, che restituisca valore all’individualità, alla diversità e alla particolarità di ogni persona, piuttosto che all’omologazione e alla massificazione. Sarebbe fondamentale un lavoro di prevenzione del disagio giovanile, che si fondi sulla valorizzazione e sul rinforzo di principi educativi finalizzati alla crescita emotiva e relazionale dei giovani, piuttosto che alla competizione e alla lotta per l’affermazione sociale.

Emanuele Tesoro

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